In ambito industriale e logistico, gli imballaggi sono strumenti di trasporto che in alcuni casi possono diventare veri e propri rifiuti pericolosi, soprattutto quando vengono contaminati da sostanze chimiche, residui tossici o materiali corrosivi.
Il corretto smaltimento degli imballaggi contaminati è quindi un’attività regolamentata, che richiede attenzione tecnica e conoscenze normative specifiche.
Non tutti gli imballaggi sono rifiuti pericolosi. Un contenitore diventa tale quando contiene, anche in minima parte, residui di sostanze pericolose. È il caso di taniche, fusti, contenitori plastici o metallici che abbiano contenuto acidi, solventi, pitture, colle, sostanze infiammabili o tossiche.
La presenza di residui rende questi imballaggi non idonei al recupero diretto e impone un trattamento speciale. Anche il solo contatto con sostanze chimiche classificate come pericolose fa scattare la necessità di gestione come rifiuto pericoloso ai sensi del D.Lgs. 152/2006.
In pratica, se il contenitore non può essere bonificato completamente, va trattato come rifiuto con codice CER pericoloso e avviato a smaltimento in impianti autorizzati.
Il quadro normativo di riferimento comprende:
Secondo la normativa, un imballaggio contaminato deve essere:
L’inosservanza di queste disposizioni può portare a sanzioni fino a 93.000 € e alla responsabilità amministrativa dell’impresa coinvolta.
La gestione di un imballaggio contaminato prevede diverse fasi, che devono essere gestite da un operatore esperto. Dopo un primo sopralluogo o analisi documentale, si procede con la classificazione CER del rifiuto e la valutazione della pericolosità in base ai residui presenti.
Nel caso in cui la contaminazione sia significativa, l’imballaggio viene raccolto in contenitori omologati ADR e stoccato temporaneamente secondo le prescrizioni del regolamento.
Successivamente, il rifiuto viene trasportato presso impianti di trattamento autorizzati, dove può essere sottoposto a differenti operazioni in base alla natura della contaminazione. In alcuni casi si procede alla neutralizzazione dei residui interni ancora presenti nell’imballaggio, in altri è possibile recuperare il materiale, come ad esempio il metallo, per reimpiegarlo come materia prima seconda.
Quando invece si ha a che fare con sostanze altamente pericolose o non recuperabili, il trattamento prevede la distruzione termica controllata, effettuata in impianti specializzati e dotati di tutte le autorizzazioni ambientali.
Un caso tipico è quello di un contenitore in plastica industriale che ha contenuto acido solforico. Anche se apparentemente vuoto, il contenitore viene classificato come rifiuto pericoloso perché può contenere residui acidi altamente corrosivi.
In questi casi specifici, il contenitore deve essere etichettato con i simboli di pericolo previsti dalla normativa CLP, in modo da indicare chiaramente la natura della sostanza contenuta e i relativi rischi. Il trasporto deve avvenire esclusivamente su mezzi ADR, ovvero autorizzati al trasporto di merci pericolose, in conformità con la regolamentazione internazionale. Infine, lo smaltimento deve essere effettuato presso impianti specializzati dotati di linee dedicate al trattamento di rifiuti acidi o corrosivi, capaci di garantire la completa neutralizzazione o distruzione del materiale residuo.
Affidarsi a una ditta non specializzata o tentare una gestione autonoma può esporre l’azienda a gravi conseguenze legali e ambientali.
Ogni imballaggio contaminato classificato come rifiuto pericoloso deve essere accompagnato da una corretta etichettatura conforme al Regolamento CLP. I simboli di pericolo devono essere chiaramente visibili sul contenitore, indicando la natura chimica del residuo (corrosivo, tossico, infiammabile, ecc.). L’etichettatura è obbligatoria sia per lo stoccaggio che per il trasporto e rappresenta un requisito essenziale per garantire la sicurezza degli operatori e la tracciabilità ambientale del rifiuto.
La gestione dei rifiuti pericolosi non è un’attività generica: richiede abilitazioni specifiche, attrezzature idonee, personale formato e una documentazione rigorosa.
Gli errori più comuni nelle aziende sono:
Per evitare tutto questo, è fondamentale collaborare con un referente tecnico esperto come Nuova Ecologica 2000, che può analizzare il caso specifico, fornire le soluzioni corrette e garantire la tracciabilità completa del rifiuto, dalla classificazione al conferimento finale.